giovedì 14 novembre 2013

Metamorfosi di Marx (1994)






                                          Rudy M. Leonelli
 
        in altreragioni, n.3, 1994
        su:

Étienne Balibar,
 La philosophie de Marx
La Découverte, Paris 1993


Con questo “piccolo” libro, Étienne Balibar si propone di «comprendere e far comprendere perché si leggerà ancora Marx nel XXI secolo: non soltanto come un momento del passato, ma come un autore ancora attuale, per le questioni che pone alla filosofia e per i concetti che le propone» 1, e di fornire al contempo uno strumento per orientarsi nei testi di Marx e nei dibattiti che suscitano. La formulazione del primo (principale) obiettivo non è semplicemente un pronostico, ma un performativo, essendo l’eventuale sparizione di una teoria non «un destino, ma l’effetto di un rapporto di forze»2.
  «Molto nuova e così antica – scrive Derrida – la congiura sembra al tempo stesso potente e, come sempre, inquieta, fragile, angosciata. Il nemico da scongiurare (conjurer), per i congiurati (conjurés) si chiama certo il marxismo. Ma si ha ormai paura di non riconoscerlo più. Si trema di fronte all’ipotesi che grazie a una di queste metamorfosi di cui Marx ha tanto parlato (“metamorfosi” fu per tutta la sua vita una delle sue parole preferite) un nuovo “marxismo” non abbia più la figura sotto la quale sotto la quale ci si era abituati a identificarlo e a metterlo in rotta. Non si ha forse più paura dei marxisti, ma si ha paura di certi non-marxisti che non hanno rinunciato all’eredità di Marx, paura dei cripto-marxisti, degli pesudo- o dei para- marxisti che sarebbero pronti a dare il cambio sotto dei tratti o delle virgolette che gli esperti angosciati dell’anticomunismo non sono allenati a smascherare»3.
 Credo – è il compito che vorrei assegnate a queste note – che sia possibile rilevare l’apertura di un nuovo spazio per la filosofia: un rientro esplicito di Marx (in nessun caso un semplice “ritorno a”) che, fuori e contro la sempre più insicura “euforia trionfante” della democrazia liberale, permetterà di pensare altrimenti: il tempo, i conflitti, le possibilità di resistenza e di trasformazione. La scrittura dovrebbe, in questa congiuntura, avvicinarsi al movimento di un sismografo: registrare, con un tratto minimo, uno spostamento più grande. E segnare alcune rilevazioni provvisorie: i sintomi, ancora dispersi, delle modificazioni di territori non uniformi, ma interessati da un generale processo di cambiamento.
 Per Balibar, la chiusura del ciclo storico in cui il marxismo ha funzionato come dottrina d’organizzazione apre inedite possibilità di leggere Marx: «Liberati da un’impostura, guadagniamo un universo teorico» 4. La negazione dell’esistenza di una “dottrina” filosofica marxista non dissolve le determinazioni né sfocia su un pensiero “debole”; consente al contrario di delimitare i concetti, di sottolinearne le tensioni e gli spostamenti interni, di costruire un diagramma delle biforcazioni e delle “rettifiche”, dei possibili luoghi di dissidio e linee di fuga.: una prospettiva ai limiti del marxismo che cerca di cogliere, insieme, ciò che nel pensare – non solo “con”, ma anche eventualmente “contro” Marx – è ancora marxiano 5.
  Leggendo Marx nella congiuntura, notiamo che Marx stesso «ha scritto nella congiuntura»; i suoi concetti solo ad un tempo rigorosi e «incompatibili con la stabilità delle conclusioni». La possibilità di un approccio di questo tipo è evidentemente data dal fatto che nel marxismo, e in particolare nel marxismo degli anni Sessanta e Settanta, di sono prodotti avvenimenti, aperture, spostamenti che, retroagendo sui testi di Marx, hanno irreversibilmente modificato il modo in cui possiamo leggerli. C’è un rapporto forte tra questo Marx «filosofo dell’eterno ricominciamento» 6 e «una caratteristica significativa dei concetti “althusseriani”: questi concetti sono sempre già “autocritici”. Contengono sempre già un elemento di negazione che li mette in pericolo, che fa vacillare il loro senso nel momento stesso in cui pretendono al più grande rigore. Contengono dunque in anticipo, un elemento che si oppone al fatto che il loro uso, il loro sviluppo, sfoci nell’univocità di una teoria “infine trovata”. Sono così sin dalla loro origine, un modo discorsivo di porsi essi stessi in disequilibrio, di assicurarsi contro la sicurezza di una “tesi” nel momento in cui la si sostiene» 7. In modo più specifico: la precedente problematizzazione, da parte di Balibar, del concetto di rottura epistemologica in Althusser, tesa a sottolinearne il carattere di rottura continuata, al tempo stesso irreversibile e incompiuta 8, presiede direttamente a questo attraversamento della «totalità aperta» 9 degli scritti di Marx, come tracciato costellato da ripetute oscillazioni, punti di crisi, focolai di instabilità. Questo andamento sismico o scismatico della teoria non è semplicemente uno “svolgimento” interno ad essa, ma l’effetto della sua costante messa in tensione con altre pratiche, della sua “programmatica” implicazione in congiunture storiche.
  Quanto alla congiuntura attuale, – in cui il libro si iscrive – il marxismo «è oggi una filosofia improbabile. Ciò attiene al fatto che la filosofia di Marx è nel corso del lungo e difficile processo di separazione dal “marxismo storico”, che deve attraversare tutti gli ostacoli accumulati da un secolo di utilizzazione ideologica. Ora, non si tratta per essa di ritornare al suo punto di partenza, ma al contrario di imparare dalla sua propria storia e  di trasformarsi nel corso della traversata. Chi vuole filosofare oggi in Marx non viene soltanto dopo di lui, ma dopo il marxismo: non può accontentarsi di registrare la cesura provocata da Marx, ma deve anche riflettere sull’ambivalenza degli effetti che essa ha prodotto – sui suoi sostenitori come sui suoi avversari»10.
  Ma, se l’impossibilità di «funzionare come impresa di legittimazione» è indicata come «una condizione quanto meno negativa» della vitalità del marxismo, sarà la condizione positiva a decidere della rilevanza presente e a venire di Marx. Essa «dipende dalla parte che i concetti di Marx giocheranno nella critica di altre impresa di legittimazione»11.
 A questo riguardo, mi limito a sottolineare un punto: «l’universalizzazione del rapporto sociale annunciata dai filosofi della storia è ormai un fatto compiuto: non c’è più, che un solo spazio delle tecniche e della politica, della comunicazione e dei rapporti di potenza. Ma questa universalizzazione non è né un’umanizzazione né una razionalizzazione, essa coincide con esclusioni e scissioni più violente che prima»12. Sull’irruzione di questo lato cattivo della storia si è concentrata negli ultimi anni l’attività teorica e politica di Balibar, costituendo – almeno a partire da Razza nazione classe 13 – un riferimento rilevante per la riflessione e l’azione nel presente. Questa ricerca ha raggiunto uno degli esiti più importanti e inquietanti nell’indagine del rapporto di implicazione reciproca che manifestazioni determinate dell’universalismo e razzismo, integrazione e esclusione. Almeno come indice di un lavoro che sarebbe arduo riassumere senza banalizzare, richiamo una formulazione folgorante: «è derisorio pensare di combattere il razzismo in nome dell’universalità in generale: il razzismo è già “sul posto”. È dunque sul posto che si svolge la lotta»14.
Se leggiamo La philosophie de Marx tenendo presenti queste problematiche, vediamo emergere come un filo rosso l’analisi dei limiti, degli ostacoli, delle “contraddizioni” storiche dell’universalismo che percorre gli scritti di Marx. Mostrando «come una particolarità professionale, nazionale, o sociale è idealizzata nella forma dell’universalità (e, reciprocamente, perché ogni universale “astratto”, ogni ideale è la sublimazione di un interesse particolare)» 15, Marx apre lo spazio in cui possiamo riflettere – per ripetizione, passaggio al limite o spostamento – sui paradossi e sui limiti degli attuali processi di universalizzazione e delle forme costituite di universalità.
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 traduzione italiana di brani a mia cura da:


- Étienne Balibar, La philosophie de Marx, Paris, La Découverte, Paris 1993.

- Jacques Derrida, Spectres de Marx. L'État de la dette, le  travail du deuil et la nouvelle Internationale, Paris, Galilée, 1933.





NOTE:

1 La philosophie de Marx, (d’ora in poi PhM), p. 3.

2 E. Balibar, “Tas-toi encore, Althusser!,” ora in Per Althusser, manifestolibri, Roma 1991, p. 32. In questo saggio, Balibar aveva identificato una delle possibili, eterogenee, forme della “sparizione” della teoria marxista con ma morte: “Di ciò che era una pratica viva non resterebbe più allora che un fantasma: la memoria” (ivi).
L’elaborazione positiva della metafora del fantasma costituisce il filo conduttore del testo di Jacques Derrida, Spectres de Marx. L’état de la dette, le travail du deuil et la nouvelle Internationale, Galilée, Paris 1993. Letto in questa prospettiva, Spectres de Marx decide per una delle forme di sparizione ipotizzate da Balibar – quella corrispondente alla modalità passiva (Per Althusser, p. 31) – per attivarla lavorando sul suo resto (plurale: gli spettri). Questo eventuale punto di ancoraggio – una singolare forma di “rovesciamento” – permetterebbe di far apparire tra il lavoro di Balibar e il testo di Derrida un rapporto che, eccedendo l’economia dei riferimenti espliciti e delle citazioni, investe lo spazio in cui si colloca Spectres de Marx.
 Questa ipotesi potrebbe essere confermata ed estesa rileggendo alcuni brani di una comunicazione di Balibar ad un convegno negli Usa (1988) che affrontava l’ostracismo e la censura gravanti sul marxismo: «tutto si svolge come se la cosa più importante sia far dimenticare che vi sono state un’attività, una produttività intellettuale all’interno del marxismo e non solo declamazioni e illusioni … Non dobbiamo restar sorpresi nel constatare che questo modo di trasformare la storia in non-storia fiorisce in modo particolare in paesi, come la Francia, in cui il marxismo ha giocato il ruolo più importante in filosofia, nelle scienze sociali, negli studi umanistici e nella cultura. Ma dobbiamo temere, forse, che gli intellettuali che oggi si prestano a questa amnesia della loro storia non abbiano a pagare un prezzo troppo elevato, esattamente come i marxisti hanno pagato molto caro le distorsioni che essi avevano fatto subire alla loro eredità filosofica e culturale» (“Le non-contemporain”, ora in Per Althusser, pp. 42-43).
Quando Spectres de Marx – rielaborazione di una conferenza tenuta all’Università di California nell’aprile 1993 – afferma che la decostruzione «sarebbe stata impossibile e impensabile in uno spazio pre-marxista» (p. 151), non attribuiamo certo a questo enunciato una valore di “rivelazione”, quanto piuttosto di rifiuto attivo di quella “amnesia” che Balibar aveva indicato come un pericolo.
3 J. Derrida, Spectres de Marx, p. 88.
4 PhM, p. 5.
5 Fino alla necessità di «essere “marxista” contro Marx» (PhM, p. 117).
Credo che questo gesto filosofico abbia un precedente nel confronto con Hyppolite, e con Hegel, istituito da Foucault nella lezione inaugurale al Collège de France (cfr. L’ordine del discorso, tr. it. Einaudi, Torino 1972, pp. 54-60, in particolare l’esigenza di sapere, «in ciò che ci permette di pensare contro Hegel, quel che è ancora hegeliano).
Ma un motivo più importante conduce a rileggere queste pagine di Foucault a fronte de La philosophie de Marx: la necessità, per la filosofia, di rischiare ininterrottamente se stessa in rapporto alla non-filosofia e di pensare – e di iscrivere tra le proprie condizioni – le trasformazioni introdotte in questo rapporto. La possibilità, sperimentata da Balibar, di leggere Marx come filosofo «senza sminuirlo né tradirlo» (PhM, p. 7) è interna all’autoriflessione della filosofia sulle proprie trasformazioni storiche: «dopo Marx, la filosofia non è più stata come prima. Si è prodotto un avvenimento irreversibile, che non è comparabile al sorgere di un nuovo punto di vista filosofico, perché non obbliga soltanto a cambiare d’idee o di metodo, ma a trasformare la pratica della filosofia … Questa antifilosofia che il pensiero di Marx ha voluto essere a un momento dato, questa non-filosofia che esso è certamente stato rispetto alla pratica esistente, ha dunque prodotto l’effetto opposto a quello a cui mirava. Non soltanto non ha messo fine alla filosofia, ma ha piuttosto suscitato nel suo seno una questione aperta di cui, ormai, la filosofia può vivere, e che contribuisce a rinnovarla» (PhM, pp. 6-7).
6 PhM, p.7.
7 “Tas-toi encore, Althusser! ”, Per Althusser, pp. 21-22. E, in Derrida: «Continuare ad ispirarsi a un certo spirito del marxismo, sarebbe essere fedele a ciò che ha sempre fatto del marxismo generalmente e innanzitutto una critica radicale, cioè un modo di procedere sempre pronto alla sua autocritica, la sua rivalutazione (réévaluation) e la sua auto-reinterpretazione» (Specttres de Marx, p. 145).
8 Cfr. É. Balibar, “Le concept de ‘coupure épistémologique’ de Gaston Bachelard à Louis Althusser”, (1977), ora in Per Althusser.
9 PhM, p. 7.
10 PhM, p. 115.
11 Ibid.
12 PhM, p. 116. È il precipitare conflittuale di un processo storicizzato in Marx: «Weltgesichte existierte nicht immer; Gesichte als Weltgesichte Resultat – La storia universale non è esistita sempre; la storia come storia universale è un risultato», (Introduzione del ’57, Bertani, Verona 1974, pp. 119-121).
13 Étienne Balibar e Immanuel Wallerstein, Razza nazione classe. Le identità ambigue, (1988), Edizioni Associate, Roma 1990, Cfr. una mia breve recensione in “Invarianti, V, 17-18, 1991.
14 E. Balibar, “Razzismo: un altro universalismo” (1988), in “Problemi del socialismo”, 2,1991, p. 44. Questa formulazione astratta non è sterile. Permette, ad esempio, di diagnosticare e combattere «un nuovo fenomeno europeo … la discriminazione è iscritta nella natura stessa della Comunità europea, perché quest’ultima arriva immediatamente a definire in ogni paese due categorie di stranieri con diritti ineguali»,  E. Balibar, Le frontiere della democrazia, manifestolibri, Roma 1993, p. 118.
15 PhM, p. 48.

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le immagini di Marx sono tratte da Nutopia]


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