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lunedì 12 ottobre 2015

Atlantide deborda e colora la città

Nonostante la pioggia, corteo partecipato e azione comunicativa alla sede del quartiere. Si apprende che il gip, prima dello sgombero, aveva negato la richiesta di sequestro della Procura. Anche Làbas rischia: social street difendono l’ex caserma.

10 ottobre 2015 - 19:58

Corteo Atlantide - © Michele LapiniNonostante la pioggia, grande manifestazione oggi a Bologna dopo lo sgombero di Atlantide effettuato ieri per volere del sindaco Virgineo Merola. Anzi: " Virgineo Murala" com’è stato ribattezzato anche durante il corteo di oggi, visto il muro di mattoni che è stato innalzato sull’ingresso del cassero di porta Santo Stefano al termine dello sgombero. Proprio da porta Santo Stefano è partita la manifestazione che, al grido di “Atlantide ovunque!”, oggi ha riempito le strade della città: dal sound system si è parlato di 2.000 partecipanti. Un corteo allegro e colorato, a cui hanno preso parte anche molti bambini, che come prima tappa ha fatto visita alla sede del quartiere Santo Stefano: sull’ingresso sono state attacchinate pagine con le esternazioni su Facebook della presidente Ilaria Giorgetti, di centrodestra, in prima fila nell’invocare lo sgombero e poi nell’esultare per l’intervento di Vigili urbani e polizia. Alcune attiviste, in stile “Ghosbuster”, hanno anche “disinfestato” la sede del quartiere. Azioni comunicative che sono continuate per tutta la manifestazione, con ripetuti attacchinaggi della scritta “Atlantide” lungo il percorso.
“Come farfalle saremo ovunque e vi renderemo la campagna elettorale difficile”, è la promessa che parte dal corteo, di fronte ad “una città che sta murando tutti gli spazi e le soggettività”. Prese di posizione intervallate da numerose canzoni (anche di lotta) reinterpretate in chiave Lgbtq, nello stile della Corale Atlantidea. La manifestazione si è conclusa in piazza San Francesco, con gli interventi finali e la lettura delle tantissime solidarietà che da Bologna e da tutta Italia sono state espresse per condannare lo sgombero.
Intanto, oltre al danno, per le Atlantide c’è anche la beffa: come da informazioni circolate durante la manifestazione, infatti, sembra che qualche giorno prima dello sgombero il giudice avesse respinto la richiesta di sequestro del cassero fatta dalla Procura. Una beffa, si fa per dire vista la gravità di quanto è successo, che politicamente aumenta le responsabilità del sindaco e del Comune nell’azione di sgombero. Dopo aver inviato l’ultimatum ai collettivi per costringerli a lasciare il cassero, Vi aveva negato che ci fossero una relazione con le iniziative dei magistrati: “Della Procura non so nulla, ma bisogna sgomberare”. Poi, pochi giorni dopo, il sindaco si era puntualmente smentito da solo: lo sgombero va fatto perchè “non mi faccio denunciare” per Atlantide.
In piazza con Atlantide c’erano anche gli attivisti di Làbas, altro spazio costretto a resistere alle minacce di sgombero. Il collettivo prende parola sul fatto che le social street di via.

domenica 27 settembre 2015

Arrestati tre attivisti di Tpo e Làbas



Obbligo di dimora per altri due. Le accuse riguardano due manifestazioni dell’ottobre 2014. Tpo e Làbas: “Uso politico delle misure cautelari e attacco alla parte di città che prova a dare risposte reali nella crisi”.
22 settembre 2015 - 15:30

15573048162_3944d8d981_zArresti domiciliari per Gianmarco De Pieri, già sottoposto a un divieto di dimora a Bologna. La misura, disposta dal gip su richista della Procura, e’ stata notificata poco fa dalla Digos. Il provvedimento riguarda la manifestazione del 18 ottobre 2014 contro la visita del governatore di Bankitalia Ignazio Visco e poi contro il presidio di Forza nuova in piazza San Domenico, dove i manifestanti entrarono in contatto con le forze dell’ordine (un manifestante era stato già arrestato in piazza), nonché quella contro le “Sentinelle in piedi” della settimana prima. Oltre a De Pieri, gli arresti domiciliari sono scattati anche altri due attivisti di Tpo e Làbas (Roberto e Christofer, riferiscono i due spazi sociali) e per ulteriori due (Tommaso e Domenico) è stato emesso un obbligo di dimora.
Il commento dei due centri sociali: “Questa mattina sono state notificate ennesime misure restrittive tra arresti domiciliari e obblighi di dimora nei confronti di 5 attivisti del gruppo Tpo e Làbas Occupato. Misure che si vanno ad aggiungere agli arresti domiciliari per Gianmarco, colpito già 3 settimane fa dal divieto di dimora a Bologna. I fatti riguardano la giornata del 18 ottobre 2014, quando centinaia di persone scesero in piazza per manifestare contro la presenza in città dei fascio-nazisti di Forza Nuova. Consideriamo questo uso politico delle misure cautelari un attacco, non solo alla libertà personale dei nostri compagni, ma a quella parte di città che prova con generosità e mettendosi in gioco a dare delle risposte reali nella crisi sociale e di diritti che stiamo vivendo”.

                                                                                                      da: staffetta

lunedì 20 aprile 2015

La Resistenza difficile

    Istituto Parri

    Produzioni

    Lunedì 20 aprile ore 17.30

    La Resistenza difficile
     
    presso la sala dell'ex-Refettorio, ingresso da via S. Isaia 20



    Presentazione dei libri
    Il caso Facio di Luca Madrignani
    e
    La penultima verità di Luigi Colombari

    ne discutono con gli autori

    Alberto Preti, Luca Alessandrini e Luca Madrignani


    giovedì 9 aprile 2015

    L'eresia bolognese - Documenti di una generazione ribelle (1967 - 1990)





    Documenti di una generazione ribelle

    a cura di Paolo Brunetti

    EDIZIONI  ANDROMEDA


    Eresia bolognese perché a Bologna s'infranse per la prima volta,  in modo sociale e largamente diffuso, l'ordine consacrato della virtù del lavoro salariato come orizzonte di vita . . . a vita. il movimento movimento del rifiuto del lavoro risale ai tempi biblici Adamo nel giardino dell'Eden,  non lavorava), ma le lotte dei due secoli passati si erano scontrate con l'insufficiente sviluppo delle forze produttive. il grande progresso economico seguito alla Seconda Guerra Mondiale e i lunghi anni dal lungo dopoguerra avevano posto all'ordine del futuro il superamento della costrizione al lavoro. affermare tutto questo nella città capitale nella città capitale del comunismo euro-occidentale, fondato sull'ideologia del lavoro, fu un'autentica eresia portata avanti dal gruppo bolognese di Potere Operaio . . .

    Se la nostra  è stata un'eresia, di fronte alla catastrofe sociale cui ha portato il partito del lavoro la medesima eresia è oggi diventata il Sol dell'avvenire.
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     Contenuti speciali allegati:
      (DVD con oltre 2000 pagine più numerosi video)
                         

    sabato 28 febbraio 2015

    Grecia: forzare i limiti del capitalismo per combattere l'austerity - di  Étienne Balibar, Sandro Mezzadra

     


    E. BALIBAR - S.MEZZADRA

    giovedì 26 febbraio 2015 15:04




    È dunque vero che alla fine, come titolano molti giornali in Italia e in Europa, Atene ha ceduto all'Eurogruppo (la Repubblica), compiendo il primo passo verso il ritorno all'austerity (The Guardian)? È cominciata la «ritirata» di Syriza, come sostengono molti leader della stessa sinistra interna del partito greco?
    È presto per formulare un giudizio complessivo e fondato sugli accordi definiti all'interno della riunione dell'Eurogruppo di venerdì [ndr: 20 febbraio 2015]: molti aspetti tecnici, ma di grande importanza politica, saranno resi noti soltanto nei prossimi giorni. Vorremmo tuttavia provare a suggerire un diverso metodo di analisi dello scontro che non ha soltanto contrapposto il governo greco alle istituzioni europee, ma ha anche mostrato più di una crepa all'interno di queste ultime. Sulla base di quali criteri dobbiamo giudicare l'azione di Tsipras e Varoufakis, misurandone l'efficacia? È questa la domanda che ci interessa porre.
    Vale la pena di ripetere che lo scontro aperto dalla vittoria di Syriza alle elezioni greche si svolge in un momento di crisi acuta e drammatica in Europa. Le guerre che marcano a fuoco i confini dell'Unione Europea (a est, a sud, a sudest), le stragi di migranti nel Mediterraneo non sono che l'altra faccia dei processi in atto di scomposizione dello spazio europeo, che la crisi economica ha accelerato in questi anni e che destre più o meno nuove, più o meno razziste e fasciste cavalcano in molte parti del continente. In queste condizioni, le elezioni greche e la crescita di Podemos in Spagna hanno aperto una straordinaria occasione, quella di reinventare e riqualificare a livello europeo una politica radicale della libertà e dell'uguaglianza.

    Forzare i limiti del capitalismo
    Dietro l'apertura di questa occasione ci sono, tanto in Grecia quanto in Spagna, le formidabili lotte di massa contro l'austerity. Ma lo sviluppo di queste lotte, nella loro diffusione «orizzontale», si è trovato di fronte limiti altrettanto formidabili: la posizione di dominio del capitale finanziario all'interno del capitalismo contemporaneo e l'assetto dei poteri europei, modificato da quella che abbiamo definito una vera e propria «rivoluzione dall'alto» nella gestione della crisi.
    Il punto è che, non appena Syriza è riuscita a innestare sull'orizzontalità delle lotte un asse «verticale», portandone le rivendicazioni e il linguaggio fin dentro i palazzi europei, si è immediatamente trovata di fronte quegli stessi limiti. Si è scontrata con l'assetto attuale dei poteri europei e con la violenza del capitale finanziario. Sarebbe davvero ingenuo pensare che il governo greco, che un singolo Paese europeo (anche di maggior peso demografico ed economico della Grecia) possa spezzare questi limiti.
    Se ce ne fosse stato ancora bisogno, quanto è accaduto in questi giorni dimostra chiaramente che non è sulla base di una semplice rivendicazione di sovranità nazionale che una nuova politica della libertà e dell'uguaglianza può essere costruita. I «limiti» di cui si è detto, tuttavia, ci appaiono oggi in una luce diversa rispetto a qualche mese fa. Se le lotte ne avevano mostrato l'insostenibilità, la vittoria di Syriza, la crescita di Podemos e la stessa azione del governo greco cominciano ad alludere alla realistica possibilità di superarli. Era evidente, e lo aveva chiarito tra gli altri lo stesso Alexis Tsipras, che non sarebbe stata sufficiente una semplice affermazione elettorale per fare questo. Si tratta di aprire un processo politico nuovo, per costruire e affermare materialmente una nuova combinazione, una nuova correlazione di forze in Europa.
    Diceva Lenin che ci sono situazioni in cui bisogna cedere spazio per guadagnare tempo. Se applichiamo questo principio, opportunamente modificato, alla valutazione degli «accordi» di venerdì scorso possiamo forse scommettere (con l'azzardo che è costitutivo di ogni politica radicale) sul fatto che il governo greco abbia ceduto «qualcosa» per guadagnare tempo e per guadagnare spazio. Ovvero, per distendere nel tempo l'occasione che si è aperta in Europa nella prospettiva, resa possibile anche dalle prossime scadenze elettorali in Europa (a partire dalla Spagna, ma non solo), che altri «spazi» vengano investiti e «conquistati» dal processo politico nuovo di cui si diceva.
    Questo processo politico, per avere successo nei prossimi mesi, non potrà che articolarsi su una molteplicità di livelli, combinando lotte sociali e forze politiche, comportamenti e pratiche diffuse, azione di governo e costruzione di nuovi contropoteri in cui si esprima l'azione dei cittadini europei. In particolare, nel momento in cui riconosciamo l'importanza decisiva di un'iniziativa sul terreno istituzionale quale quella che Syriza ha cominciato a praticare e Podemos concretamente prefigura, dobbiamo anche essere consapevoli dei suoi limiti.
    In un lungo articolo (a suo modo straordinario), pubblicato nei giorni scorsi dal Guardian («How I became an erratic Marxist»), Yanis Varoufakis ha mostrato di avere una consapevolezza molto precisa di questi limiti. Fondamentalmente, ha affermato, quel che un governo può fare oggi è cercare di «salvare il capitalismo europeo da se stesso», dalle tendenze auto-distruttive che lo attraversano e minacciano di aprire le porte al fascismo. Ciò che in questo modo è possibile è conquistare spazi per una riproduzione del lavoro, della cooperazione sociale meno segnata dalla violenza dell'austerity e della crisi - per una vita meno «misera, sgradevole, brutale e breve».
    Non è un governo, insomma, a potersi far carico della materiale apertura di alternative oltre il capitalismo. Leggendo a modo nostro l'articolo di Varoufakis, possiamo concludere che quell'oltre (oltre il salvataggio del capitalismo europeo da se stesso, in primo luogo) indica il «continente» potenzialmente sconfinato di una lotta sociale e politica che non può che eccedere la stessa azione di governi come quello greco e ogni perimetrazione istituzionale. È all'interno di quel continente che va costruita la forza collettiva da cui dipende quello che sarà realisticamente possibile conquistare nei prossimi mesi e nei prossimi anni. E il terreno su cui questa forza deve essere organizzata ed esercitata non può che essere l'Europa stessa, nella prospettiva di contribuire a determinare una rottura costituente all'interno della sua storia.

    Il blocco di Francoforte
    La mobilitazione convocata dalla coalizione Blockupy a Francoforte per il 18 marzo, il giorno dell'inaugurazione della nuova sede della Bce, acquista da questo punto di vista una particolare importanza. È un'occasione per intervenire direttamente nello scontro in atto a livello europeo (e dunque per sostenere l'azione del governo greco), andando oltre una generica contestazione dei simboli del capitale finanziario, della Bce e delle tecnostrutture «post-democratiche» di cui ha parlato Jürgen Habermas.
    Ma è anche un momento di verifica delle forze che si muovono in quell'«oltre» senza consolidare il quale (è uno dei paradossi del nostro tempo) la stessa azione di governi e partiti che si battono contro l'austerity è destinata all'impotenza.

    (23 febbraio 2015)
                                      ___________
                                      da: globalist.it