venerdì 30 gennaio 2015

La vera natura di CasaPound


 Saverio Ferrari  -  il manifesto   21/01/2015



 CasaPound Cre­mona, la sezione dell’organizzazione nell’ambito lom­bardo pro­ba­bil­mente più con­si­stente, fin dalla sua nascita nel mag­gio 2013, seguendo una regola interna che a ogni sede cor­ri­sponda un’intestazione pro­pria, si è scelta il nome di «Stoc­ca­fisso». Appa­ren­te­mente un gioco. Nella città che fu del Ras Roberto Fari­nacci, gran orga­niz­za­tore di squa­dracce, que­sto par­ti­co­lare è tutt’altro che inno­cuo. La sto­ria rac­conta che sul finire del «bien­nio rosso», quando i fasci­sti della bassa val Padana si videro reca­pi­tare da alcune pre­fet­ture il divieto di dete­nere i man­ga­nelli, ricor­sero all’uso di pezzi di bac­calà, stec­che dure lun­ghe più di un metro e mezzo da uti­liz­zare come bastoni. Da qui la scelta del nome, indi­ca­tivo della natura di CasaPound, che ispi­ran­dosi al primo movi­mento fasci­sta, quello degli esordi, esalta osten­ta­ta­mente l’epopea delle aggres­sioni ai diri­genti e ai mili­tanti socia­li­sti e comu­ni­sti come degli assalti alle sedi delle camere del lavoro e delle leghe con­ta­dine. L’attacco pre­or­di­nato di dome­nica sera al cen­tro sociale Dor­doni di Cre­mona, non a caso, è stato con­dotto seguendo gli anti­chi inse­gna­menti, con­cen­trando gruppi di pic­chia­tori, anche pro­ve­nienti da altre città (Parma e Bre­scia), per col­pire in forte supe­rio­rità nume­rica, senza problemi.
Più volte CasaPound ha anche «mimato» in cor­tei per le vie di Roma le «spe­di­zioni puni­tive» del 1920–1921 sfi­lando su camion sco­perti con a bordo mili­tanti agghin­dati con tanto di Fez. Le stesse deno­mi­na­zioni con cui ha mar­chiato i pro­pri punti di ritrovo o i pro­pri siti di rife­ri­mento, dalla libre­ria La Testa di Ferro (in ricordo del gior­nale fon­dato nel 1919 da Gabriele D’annunzio al tempo dell’impresa fiu­mana) al forum inter­net Viva­ma­farka (dal romanzo-scandalo di Mari­netti del 1909, Mafarka il futu­ri­sta, sot­to­po­sto in que­gli anni a pro­cesso per oltrag­gio al pudore, in cui si decan­ta­vano le gesta imma­gi­na­rie di un re nero che amava la guerra e odiava le donne), dicono di que­sta identificazione.
Non siamo di fronte a sem­plici sug­ge­stioni cul­tu­rali. Dalle sue fila, ana­liz­zando i fatti acca­duti, solo negli ultimi tre anni, pro­ven­gono Gian­luca Cas­seri che a Firenze nel dicem­bre 2011 ha assas­si­nato a colpi di pistola due ambu­lanti sene­ga­lesi, feren­done gra­ve­mente un terzo, e Gio­vanni Ceniti, ex respon­sa­bile di Casa Pound Novara, uno dei kil­ler di Sil­vio Fanella ucciso a Roma nell’estate scorsa. Un’organizzazione che la Cas­sa­zione, il 27 set­tem­bre 2013, nell’ambito di un pro­ce­di­mento a Napoli con­tro il suoi diri­genti locali ha giu­di­cato «ideo­lo­gi­ca­mente orien­tata alla sov­ver­sione del fon­da­mento demo­cra­tico del sistema».
Prima dell’aggressione di Cre­mona, solo qual­che set­ti­mana fa, a fine dicem­bre, se ne era veri­fi­cata un’altra, con le stesse moda­lità, a Magliano Romano, dove una ven­tina di squa­dri­sti di Casa Pound con i pas­sa­mon­ta­gna, armati di spran­ghe e bastoni, ave­vano aggre­dito i tifosi dell’Ardita, un club di sup­por­ter della squa­dra romana di cal­cio del quar­tiere San Paolo. Sette i feriti, con frat­ture, esco­ria­zioni ed ecchimosi.
L’incredibile impu­nità di cui gode Casa Pound è sotto gli occhi di tutti. È tempo di porre il problema.

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